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Difesa in ambito di diritto penale in Italia.

Studio legale di diritto penale

LegalGB Law Firm in Italia esercita prevalentemente in ambito di diritto penale.

 

Indice:

 

Come contattarci

Lo Studio legale di diritto penale LegalGB Law Firm dell’avv. Graziano BENEDETTO, può essere contattato con qualsiasi mezzo. Ad oggi grazie alla tecnologia e le nuove possibilità di accesso da remoto tramite portale alle cancellerie penali, è possibile esercitare in tutt’Italia, con un enorme contenimento dei costi. Stesso dicasi per i contatti con gli assistiti.

I mezzi per un contatto sono: telefonico, WhatsApp anche in videochiamata.

Giova precisare che le chiamate, videochiamate e comunicazioni tra difensore “anche potenziale” ed assistito “anche potenziale”, non sono intercettabili. L’articolo 103 del codice di procedura penale, al comma 5, sancisce che: "Non è consentita l'intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni dei difensori, degli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, dei consulenti tecnici e loro ausiliari, né a quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite".

 

L’avv. Benedetto personalmente può ricevere a Roma, Milano, Pordenone, Treviso e Pescara. Altresì, è prevista la possibilità di consulenza domiciliare o in luoghi di restrizione.

  

Chi siamo nel diritto penale

L’avv. Graziano BENEDETTO penalista italiano, svolge assistenza e consulenza legale in ambito di diritto penale, difendendo i diritti delle persone indagate o imputate in procedimenti penali o delle persone offese dal reato avanti tutti i distretti di tribunale e le corti di appello in Italia.

L’avv. Graziano BENEDETTO è abilitato alla professione legale, avendo ottenuto l’abilitazione professionale presso la Corte di Appello degli Abruzzi in L’Aquila, dopo aver svolto la pratica professionale in Pescara e successivamente a Foggia. L’avv. Benedetto è altresì abilitato alla professione forense in Ucraina.

 

Nella propria carriera, l’avv. Graziano BENEDETTO ha difeso in Italia i propri assistiti in numerosi processi penali saliti alla ribalta della cronaca giudiziaria.

Tra i tanti processi penali in cui l’avv. Benedetto ha difeso i propri assistiti in Italia:

operazione Cipollaro (artt. 416, 640, 629 cp) della procura della Repubblica di Lanciano;

operazione Abruzzo latte (artt. 416, 640, l. f. 217, 219 e 223);

operazione DDA di Genova (art. 74-80 d. lgs 309/90);

operazione “RB” attentato terroristico della DDA di L’AQUILA;

Assunzioni facili procura della Repubblica di Chieti;

operazione Forconi, DDA Roma, Tribunale Latina;

tentato rapimento Forconi, procura di Roma;

operazione “Lucky” procura della Repubblica di Treviso;

operazione Tributi Forlì;

operazione Bulgaria DDA L’aquila/Roma;

operazione truffa Carosello procure di Roma e Torino (truffa IVA vendite on line);

operazione Rubino DDA L’Aquila.

Assoluzione per stato di necessità per bancarotta fraudolenta avanti la Corte di Appello di L’Aquila.

Indagini difensive (anche all’estero).

Ha svolto attività di diritto penale in Spagna, impegnandosi in casi di rapina aggravata plurima perpetrata da italiani. L’avv. Benedetto esercita in ambito di diritto penale per delitti di truffa internazionale anche commerciale, sottrazione internazionale di minori in Ucraina.

È richiamato in oltre 1300 articoli di stampa a livello professionale di avvocato.

L’avv. Benedetto è assistente della Corte presso la Corte penale internazionale.

 

Che facciamo come penalisti

In ambito penalistico lo studio si occupa di patrocinare, sia in sede processuale che extraprocessuale le persone fisiche o giuridiche coinvolte, sia come soggetti indagati o imputati sia come persone offese dal reato, ovvero come responsabili civili nell'ambito di procedimenti penali instaurati - anche nell'ambito del diritto penale di impresa- a seguito della commissione di fatti penalmente rilevanti.

Lo Studio si occupa di diritto penale di impresa sia nella fase processuale che in via preventiva, in relazione a particolari operazioni economiche da porre in essere.

 

Lo Studio si avvale di investigatori laureati in scienze investigative ed esperti specializzati nell’attività di consulenza e di assistenza tecnica in favore dei propri assistiti che si trovino coinvolti, seppur a diverso titolo (indagati/imputati e/o vittime da reato) in procedimenti penali promossi in materia di:

Reati contro la famiglia

Reati contro il patrimonio

Infortuni e tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro

Reati contro l’amministrazione della giustizia

Reati societari e fallimentari

Illeciti amministrativi degli enti dipendenti da reato D. Lvo 231/2001

Reati sfera sessuale

Reati associativi

Indagini difensive

Lo Studio esercita col beneficio del patrocinio gratuito a spese dello Stato.

 

Il beneficio del patrocinio a spese dello Stato, nel diritto penale.

L’avv. Graziano BENEDETTO è regolarmente iscritto nelle liste degli avvocati che possono esercitare del col patrocinio a spese dello Stato anche nel processo penale.

 L’istituto del patrocinio a spese dello Stato garantisce il diritto costituzionale di difesa e consente ai cittadini non abbienti, al fine di essere rappresentati in giudizio sia per agire che per difendersi, di poter nominare un avvocato e farsi assistere a spese dello Stato.

L’istituto del patrocinio a spese dello Stato vale nel processo anche nel processo penale.

Nel processo penale: i cittadini italiani, i cittadini comunitari, gli stranieri e gli apolidi residenti nello Stato che ricoprano la veste di indagato, imputato, condannato, responsabile civile o civilmente obbligato per l’ammenda, offeso dal reato, danneggiato che intenda costituirsi parte civile. Può quindi chiedere l'ammissione al beneficio anche la vittima di un reato. É un istituto giuridico disciplinato dal DPR 115/2002 che consente a chi è privo di un reddito minimo (oggi pari ad euro 11.493,82, nel caso di gratuito patrocinio penale di 1.032,91 euro per ogni familiare a carico) ad essere difeso gratuitamente, e quindi a farsi assistere e rappresentare in giudizio da un avvocato senza dover pagare le spese di difesa e le altre spese processuali poiché queste vengono pagate dallo stato o esentate con la prenotazione a debito.

Il Patrocinio a spese dello Stato è consentito per la sola difesa processuale e non può mai essere autorizzato per l'assistenza extragiudiziale (ad esempio, non può essere concesso per consulenza ed attività del legale prima del giudizio).

Reati contro la famiglia nel processo penale

Maltrattamenti contro familiari e conviventi è reato, secondo la legge, quando, chiunque maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia.

I principali reati sono:

La violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art. 570 c.p.

L’art. 570 c.p. sanziona la violazione degli obblighi di assistenza familiare o  fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa”.

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina ex art. 571 c.p.

Il successivo articolo 571 c.p., rubricato “abuso dei mezzi di correzione o di disciplina” punisce invece “Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte”, prevedendo pene proporzionalmente più gravi a seconda che dal fatto derivi il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente (reclusione fino a sei mesi), una lesione personale (pena degli artt. 582 e 583 c.p. ridotte a un terzo) o la morte (reclusione da tre a otto anni).

Maltrattamenti contro familiari e conviventi ex art. 572 c.p.

Passando all’analisi dell’articolo 572 c.p., viene punito con la pena della reclusione da tre a sette anni “chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente (l’art. 571 c.p. “abuso dei mezzi di correzione o di disciplina”), maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte”.

 

Reati contro il patrimonio

I reati contro il patrimonio rappresentano una componente tradizionale del diritto penale, poiché puniscono comportamenti da sempre ritenuti meritevoli di sanzione, come, ad esempio: Indice dei contenuti        

A) DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO MEDIANTE VIOLENZA ALLE COSE O ALLE PERSONE

FURTO (ART. 624 C.P.)

FURTO IN ABITAZIONE E FURTO CON STRAPPO (ART. 624 BIS C.P.)

RAPINA (ART. 628 C.P.)

ESTORSIONE (ART. 629 C.P.)

B) DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO MEDIANTE FRODE

TRUFFA (ART. 640 C.P.)

INSOLVENZA FRAUDOLENTA (ART. 641 C.P.)

USURA (ART. 644 C.P.)

FRODE IN EMIGRAZIONE (ART. 645 C.P.)

APPROPRIAZIONE INDEBITA (ART.646 C.P.)

RICETTAZIONE (ART. 648 C.P.)

RICICLAGGIO (ART. 648 BIS C.P.)

IMPIEGO DI DENARO, BENI O UTILITA’ DI PROVENIENZA ILLECITA (ART. 648 TER C.P.)

AUTORICICLAGGIO (ART. 648 TER. 1 C.P.)

Reati contro il patrimonio informatico

Nuove frontiere del diritto penale in quest’ambito sono i reati contro il patrimonio informatico, anch’essi capaci di creare drammatiche turbative alla vita economica e civile. Si pensi ai delitti di “danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici” (art. 635 bis), di “frode informatica” (art. 640 ter), di “danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici utilizzati dallo Stato o da altro ente pubblico o comunque di pubblica utilità” (art. 635 ter), di “danneggiamento di sistemi informatici o telematici” (art. 635 quater), “danneggiamento di sistemi informatici o telematici di pubblica utilità” (art, 635 quinquies), “frode informatica del soggetto che presta servizi di certificazione di firma elettronica” (art. 640 quinquies).

 

Infortuni e tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro: reati in materia di sicurezza sul lavoro

OMICIDIO COLPOSO COMMESSO IN VIOLAZIONE DELLE NORME IN MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO (ART. 589, COMMA 2, DEL CODICE PENALE)

LESIONI COLPOSE COMMESSE IN VIOLAZIONE DELLE NORME IN MATERIA DI SICUREZZA SUL LAVORO (ART. 590, COMMA 3, DEL CODICE PENALE)

 RIMOZIONE OD OMISSIONE DOLOSA DI CAUTELE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO (ART. 437 DEL CODICE PENALE)

OMISSIONE COLPOSA DI CAUTELE O DIFESE CONTRO DISASTRI O INFORTUNI SUL LAVORO (ART. 451 DEL CODICE PENALE).

OMICIDIO COLPOSO COMMESSO IN VIOLAZIONE DELLE NORME IN MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO (ART. 589, COMMA 2, DEL CODICE PENALE)

Il reato prevede un trattamento sanzionatorio aggravato rispetto alla fattispecie generale di omicidio colposo di cui al primo comma, qualora l’omicidio colposo è commesso violando le norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, posto che il datore di lavoro risulta essere titolare di una posizione di garanzia nei confronti del lavoratore, essendo gravato dall’obbligo di adottare tutti gli strumenti idonei a garantire la sicurezza dei propri dipendenti. Tale aggravante sussiste non solo quando è contestata la violazione di specifiche norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro ma anche quando la contestazione verte sull’omissione dell’adozione di misure o accorgimenti per la più efficace tutela dell’integrità fisica dei lavoratori, in violazione dell’art. 2087 c.c.

 

Il reato è procedibile d’ufficio e la competenza è del Tribunale monocratico. Rientra inoltre nel novero dei reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti ex art. 25 septies d.lgs. 231 del 2001, prevedendo una sanzione pecuniaria in misura non inferiore a duecentocinquanta euro e non superiore a cinquecento euro. Sono inoltre previste le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2 (l’interdizione dall’esercizio dell’attività, la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio, l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi, il divieto di pubblicizzare beni o servizi) per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno.

LESIONI COLPOSE COMMESSE IN VIOLAZIONE DELLE NORME IN MATERIA DI SICUREZZA SUL LAVORO (ART. 590, COMMA 3, DEL CODICE PENALE)

Il reato prevede un aumento di pena rispetto alla fattispecie generale di lesioni colpose allorquando le lesioni gravi o gravissime sono commesse in violazione delle norme antinfortunistiche. Nel dettaglio, se la lesione è grave la pena è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000, se la lesione è gravissima la pena è della reclusione da uno a tre anni. Anche qui, l’aggravante sussiste sia nel caso in cui è contestata la violazione di specifiche norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro sia quando la contestazione verte sull’omissione dell’adozione di misure o accorgimenti per la più efficace tutela dell’integrità fisica dei lavoratori, in violazione dell’art. 2087 c.c.

 

In entrambe le ipotesi, di omicidio colposo e lesioni colpose commesse in violazione della normativa antinfortunistica, la responsabilità del datore di lavoro è esclusa solo in caso di comportamento abnorme del lavoratore. In particolare, è esclusa allorquando il lavoratore ha posto, in essere una condotta imprudente che esula dalle sue mansioni e, dunque dalla prevedibilità del datore di lavoro, ovvero nel caso di condotta che, pur rientrando nelle mansioni affidategli, si è tradotta in un comportamento ontologicamente lontano dalle prevedibili imprudenze del lavoratore nell’esecuzione del lavoro.

 

Il reato in esame è procedibile d’ufficio e la competenza è riservata al Tribunale monocratico. Costituisce, inoltre, reato presupposto della responsabilità amministrativa degli enti ex art. 25 septies del d.lgs 231/2001, prevedendo una sanzione pecuniaria in misura non superiore a duecentocinquanta euro. L’art. 25 septies prevede anche le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2 (l’interdizione dall’esercizio dell’attività, la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio, l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi, il divieto di pubblicizzare beni o servizi), per una durata non superiore a sei mesi.

 

RIMOZIONE OD OMISSIONE DOLOSA DI CAUTELE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO (ART. 437 DEL CODICE PENALE)

La fattispecie in esame punisce chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia.

La condotta criminosa può consistere, alternativamente, in un’omissione (omette di collocare) o in un’azione (rimuove o danneggia).

Menzionando “i segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro”, la norma allude a tutti i dispositivi che, in concreto, possano essere necessari per evitare infortuni sul lavoro.

 

Con particolare riguardo alla rimozione, si evidenzia che non rileva soltanto la materiale asportazione, dal dispositivo, dei congegni di sicurezza, ma anche ogni attività che ne frustra il funzionamento in relazione alla finalità antinfortunistica cui essi sono predisposti.

 

La sanzione penale prevista è la reclusione da 6 mesi a 10 anni.

 

Tuttavia, se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da 3 a 10 anni.

Si procede d’ufficio e la competenza è del Tribunale monocratico.

 

Occorre poi precisare che in caso di condanna viene applicata la pena accessoria dell’incapacità di contrarre con la P.A. di cui agli artt. 19, n.5 e 32 quater, qualora il delitto sia stato commesso in occasione dell’esercizio di una attività imprenditoriale.

 

OMISSIONE COLPOSA DI CAUTELE O DIFESE CONTRO DISASTRI O INFORTUNI SUL LAVORO (ART. 451 DEL CODICE PENALE).

La norma in esame punisce la condotta colposa del datore di lavoro che omette di collocare, ovvero rimuove o rende inservibili apparecchi o altri mezzi destinati all’estinzione di un incendio, o al salvataggio o al soccorso contro disastri o infortuni sul lavoro. Lo scopo, dunque, è quello di assicurare la costante presenza ed efficienza delle cautele preventive e delle difese che sono state predisposte.

 

Responsabilità amministrativa degli enti ex D.LGS 231 del 2001

Con il Decreto Legislativo n. 231/2001, contenente la “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, è stata introdotta nel nostro ordinamento la responsabilità amministrativa degli enti, i quali costituiscono ad oggi centri d’imputazione autonomi ed ulteriori rispetto all’autore persona fisica del reato. È stato così superato il dogma societas delinquere et puniri non potest, secondo cui soltanto una persona fisica può rispondere dell’illecito penale e non anche una persona giuridica.

 

A norma dell’art. 1, comma 2, del suddetto decreto possono incorrere in questo tipo di responsabilità gli enti forniti di personalità giuridica (come ad esempio le società di capitali e cooperative, le associazioni, fondazioni e ogni altra istituzione, non finalizzata allo svolgimento di attività economica, che acquista la personalità giuridica in base al d.p.r. 10 febbraio 2001, n. 361) e le società e le associazioni anche prive di personalità giuridica (vi rientrano ad esempio le società a base personale e le associazioni non riconosciute).

 

Sono invece esclusi, secondo l’art. 1, comma 3, del Decreto, lo stato e gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici e gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.

 

Va precisato che la persona giuridica non sarà chiamata a rispondere di qualsiasi reato. L’ente sarà responsabile solo ove si configuri uno dei reati tassativamente elencati negli articoli 24 e seguenti del Decreto, e precisamente:

 

Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico (Art. 24, D.Lgs. n. 231/2001);

Delitti informatici e trattamento illecito di dati (Art. 24-bis, D.Lgs. n. 231/2001);

Delitti di criminalità organizzata (Art. 24-ter, D.Lgs. n. 231/2001);

Concussione, induzione indebita a dare o promettere altre utilità e corruzione (Art. 25, D.Lgs. n. 231/2001);

Falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento (Art. 25-bis, D.Lgs. n. 231/2001);

Delitti contro l’industria e il commercio (Art. 25-bis.1, D.Lgs. n. 231/2001);

Reati societari di cui agli artt. 2621, 2621 bis, 2622, 2623 comma 1 e 2, 2624 comma 1 e 2, 2625 comma 2, 2626, 2627, 2632, 2628, 2629, 2629- bis, 2633, 2635 terzo comma, 2635 bis comma 1, 2636, 2637, 2638 comma 1 e 2 (Art. 25-ter, D.Lgs. n. 231/2001);

Reati con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico previsti dal codice penale e dalle leggi speciali (Art. 25-quater, D.Lgs. n. 231/2001);

Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (Art. 25-quater.1, D.Lgs. n. 231/2001);

Delitti contro la personalità individuale (Art. 25-quinquies, D.Lgs. n. 231/2001);

Reati di abuso di mercato (Art. 25-sexies, D.Lgs. n. 231/2001);

Reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro (Art. 25-septies, D.Lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dalla L. n. 123/2007]

Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, nonché autoriciclaggio (Art. 25-octies, D.Lgs. n. 231/2001);

Delitti in materia di violazione del diritto d’autore (Art. 25-novies, D.Lgs. n. 231/2001);

Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria (Art. 25-decies, D.Lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dalla L. n. 116/2009]

Reati ambientali (Art. 25-undecies, D.Lgs. n. 231/2001);

Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (Art. 25-duodecies, D.Lgs. n. 231/2001);

Razzismo e xenofobia (Art. 25-terdecies, D.Lgs. n. 231/2001);

Frode in competizioni sportive, esercizio abusivo di gioco o di scommessa e giochi d’azzardo esercitati a mezzo di apparecchi vietati (art. 25-quaterdecies, D. lgs. N. 231/2001);

Reati tributari (art. 25-quinquiesdecies, D. lgs. N. 231/2001).

Per potere ascrivere la responsabilità all’ente, secondo quanto stabilito dall’art. 5 del d.lgs. 231/2001, il reato o i reati presupposti devono essere stati realizzati nel suo interesse o vantaggio da soggetti apicali, ossia che rivestono, anche di fatto, funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione o da soggetti sottoposti alla loro vigilanza, indipendentemente che siano dipendenti dell’ente o esterni ad esso. I soggetti apicali sono ad esempio gli amministratori, componenti del consiglio di gestione, membri del comitato esecutivo, dirigenti. I sindaci, invece, non avendo quelle funzioni gestorie proprie degli apicali, ma soltanto poteri di controllo, non possono dirsi tali. Rientrano tra i soggetti sottoposti agli apicali, i lavoratori subordinati, i collaboratori che non hanno un rapporto di lavoro continuativo. Per quanto riguarda i consulenti esterni che operano continuativamente per la società (agenti, franchisee, fornitori), occorre accertare l’effettivo svolgimento di mansioni aziendali sotto la direzione o il controllo di soggetti apicali.

Per evitare la responsabilità l’ente è chiamato ad adottare un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi. Ai fini dell’esenzione da responsabilità non è sufficiente, tuttavia, che il modello sia stato adottato, ma è necessario che esso sia stato efficacemente attuato.

La responsabilità dell’ente è presunta qualora l’illecito sia commesso da una persona fisica che ricopre posizioni di vertice o di responsabilità; ciò comporta un’inversione dell’onere della prova a carico dell’ente il quale, al fine di escludere la propria responsabilità, deve provare che:

l’ente si è dotato di un modello di organizzazione, gestione e controllo che è stato attuato efficacemente;

il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;

il reato è stato commesso mediante elusione fraudolenta del modello;

la vigilanza da parte dell’organo di controllo non è stata omessa o insufficiente.

Se, invece, il reato è stato commesso dai sottoposti, l’ente risponde solo se la commissione dell’illecito è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza.

Al contrario, l’ente non risponde se essi hanno agito nell’esclusivo interesse proprio o di terzi.

La nozione di interesse va valutata ex ante, come direzione finalistica dell’illecito. Diversamente il vantaggio rimanda ad un accertamento ex post delle utilità ricavate dall’ente come conseguenza del reato. Il primo costituisce, dunque, un dato meramente potenziale che sussiste indipendentemente dalla sua successiva concretizzazione, mentre il vantaggio costituisce un dato reale, oggettivamente riscontrabile. Con particolare riguardo ai reati commessi in violazione della normativa antinfortunistica di cui all’art. 25 septies, la nozione di interesse e vantaggio va invece interpretata alla luce del risparmio di spesa conseguito dalla mancata predisposizione delle misure di prevenzione e protezione richieste dalla legge.

La responsabilità amministrativa degli enti comporta l’applicazione di sanzioni pecuniarie e interdittive (l’interdizione dall’esercizio dell’attività, la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio, l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi, il divieto di pubblicizzare beni o servizi) della confisca e della pubblicazione della sentenza di condanna.

Per l’illecito amministrativo dipendente da reato la sanzione pecuniaria è sempre applicabile. In particolare, essa viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento né superiore a mille, il cui importo va da un minimo di euro 258 ad un massimo di euro 1.549.

Per non incorrere nella responsabilità da illecito è dunque consigliato all’ente di adottare, ed efficacemente attuare, un modello di organizzazione, gestione e controllo.

 

Reati contro l’amministrazione della giustizia

Dei delitti contro l'attività giudiziaria, elencati secondo gli articoli del codice penale.

Art. 361 — Omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale

Art. 362 — Omessa denuncia da parte di un incaricato di pubblico servizio

Art. 363 — Omessa denuncia aggravata

Art. 364 — Omessa denuncia di reato da parte del cittadino

Art. 365 — Omissione di referto

Art. 366 — Rifiuto di uffici legalmente dovuti

Art. 367 — Simulazione di reato

Art. 368 — Calunnia

Art. 369 — Autocalunnia

Art. 370 — Simulazione o calunnia per un fatto costituente contravvenzione

Art. 371 — Falso giuramento della parte

Art. 371 bis — False informazioni al pubblico ministero o al procuratore della Corte penale internazionale

Art. 371 ter — False dichiarazioni al difensore

Art. 372 — Falsa testimonianza

Art. 373 — Falsa perizia o interpretazione

Art. 374 — Frode processuale

Art. 374 bis — False dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale

Art. 375 — Frode in processo penale e depistaggio

Art. 376 — Ritrattazione

Art. 377 — Intralcio alla giustizia

Art. 377 bis — Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria

Art. 378 — Favoreggiamento personale

Art. 379 — Favoreggiamento reale

Art. 379 bis — Rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale

Art. 380 — Patrocinio o consulenza infedele

Art. 381 — Altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico

Art. 382 — Millantato credito del patrocinatore

Art. 383 — Interdizione dai pubblici uffici

Art. 383 bis — Circostanze aggravanti per il caso di condanna

Art. 384 — Casi di non punibilità

Art. 384 bis — Punibilità dei fatti commessi in collegamento audiovisivo nel corso di una rogatoria dall'estero

Art. 384 ter — Circostanze speciali

Capo II - Dei delitti contro l'autorità delle decisioni giudiziarie

Art. 385 — Evasione

Art. 386 — Procurata evasione

Art. 387 — Colpa del custode

Art. 387 bis — Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa

Art. 388 — Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice

Art. 388 bis — Violazione colposa dei doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo

Art. 388 ter — Mancata esecuzione dolosa di sanzioni pecuniarie

Art. 389 — Inosservanza di pene accessorie

Art. 390 — Procurata inosservanza di pena

Art. 391 — Procurata inosservanza di misure di sicurezza detentive

Art. 391 bis — Agevolazione delle comunicazioni dei detenuti sottoposti alle restrizioni di cui all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. Comunicazioni in elusione delle prescrizioni

Art. 391 ter — Accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti

Capo III - Della tutela arbitraria delle private ragioni

Art. 392 — Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose

Art. 393 — Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone

 

Reati societari e fallimentari

Costituiscono l’insieme delle disposizioni penali volte a reprimere le condotte messe in atto da chi svolge funzioni di gestione o controllo di società, vuoi di persone vuoi di capitali, durante l’ordinaria attività aziendale (per i reati societari) o durante lo stato di crisi d’impresa (per i reati fallimentari).

I reati societari sono regolati all’interno del titolo XI, libro quinto, del codice civile (artt. 2621 e ss. c.c.) e trovano prevalente applicazione sia per le società soggette o meno all’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese che per le realtà consortili - cooperative o gruppi di imprese 

Le figure delittuose o contravvenzionali in materia societaria sono estremamente diversificate tra loro, vista la molteplicità di interessi giuridici coinvolti e l’idoneità pluri-offensiva delle singole condotte punite dal legislatore.

Invero, la tutela penale di tali incriminazioni coinvolge differenti beni giuridici, quali, a titolo esemplificativo, la trasparenza e correttezza dell’informativa societaria (alla cui protezione sono destinati i reati di false comunicazioni sociali), l’effettività del capitale sociale (indebita restituzione dei conferimenti; illegale ripartizione degli utili e delle riserve; illecite operazioni su azioni o quote sociali; formazione fittizia del capitale), l’integrità del patrimonio sociale (infedeltà patrimoniale; omessa comunicazione del conflitto di interesse), il regolare funzionamento delle società (illecita influenza sull’assemblea) e del mercato (aggiotaggio societario), nonché le funzioni di vigilanza sulle tipiche attività d’impresa (ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza).

Infine, l’eterogeneità delle fattispecie in esame emerge anche sotto un diverso profilo di natura soggettiva: si tratta di reati che possono essere commessi, a seconda dei casi, da chiunque (aggiotaggio societario), dai soli amministratori (indebita restituzione dei conferimenti), ovvero, dai direttori generali, sindaci o dirigenti di società preposti alla redazione dei documenti contabili (false comunicazioni sociali).

 

I reati fallimentari sono tutti disciplinati all’interno del titolo VI del Regio Decreto 267/1942 (Legge Fallimentare). Si tratta di disposizioni penali prevalentemente volte alla tutela della funzione liquidatoria svolta dal fallimento in favore dei creditori del singolo imprenditore o di società in stato di accertata decozione.

Un tipico esempio di reato fallimentare è la bancarotta - fraudolenta (dolosa) o semplice (colposa) -.

A titolo semplificativo, la prima figura delittuosa (art. 216 L. Fall.), è integrata dalla condotta dell’imprenditore dichiarato fallito che ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato, in tutto o in parte, i suoi beni (bancarotta fraudolenta patrimoniale), ovvero, ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, i libri contabili o ha tenuto gli stessi in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento dei suoi affari (bancarotta fraudolenta documentale), ovvero, ha eseguito pagamenti o simulato titoli di prelazione allo scopo di favorire alcuni creditori in danno degli altri (bancarotta preferenziale).

 

Diversamente, l’ipotesi delittuosa della bancarotta semplice (art. 217 L. Fall.) punisce la dissipazione del patrimonio sociale da parte dell’imprenditore per effetto di spese personali esorbitanti rispetto alla propria condizione economica o per operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti (bancarotta semplice patrimoniale), ovvero, l’omessa o irregolare o incompleta tenuta dei libri e delle altre scritture contabili prescritte dalla legge per l’esercizio della relativa attività imprenditoriale (bancarotta semplice documentale).

 

Reati sfera sessuale

Nel diritto penale il reato a sfondo sessuale è una figura giuridica nella quale rientrano la violenza sessuale, gli atti osceni, lo sfruttamento della prostituzione, la prostituzione minorile, la pedofilia, la pedopornografia.

 

 La violenza sessuale

L’articolo 609 bis del codice penale, rubricato “violenza sessuale” recita:

Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.

Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:

1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;

2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.

Il legislatore disciplinando il reato di violenza sessuale ha articolato due fattispecie principali:

la violenza sessuale per costrizione e la violenza sessuale per induzione, per le quali ha stabilito una pena che va da cinque a dieci anni di reclusione, nonché altre fattispecie per le quali ha previsto pene edittali anche maggiori.

 

Con la novella introdotta dalla L. 15 febbraio 1996, n. 66, che ha abrogato il predetto Capo I, la materia è stata più correttamente inquadrata nella categoria dei delitti contro la persona, precisamente quelli contro la libertà personale, mettendo in rilievo il carattere offensivo delle condotte punite nei confronti del bene giuridico della libertà sessuale e non più di quelli della moralità e del buon costume, ed è adesso disciplinata dagli artt. 609-bis e seguenti del codice penale.

Il Legislatore ha messo sullo stesso piano le condotte lesive del bene giuridico protetto, eliminando la distinzione fondata sulla congiunzione carnale, e sanzionandole in modo molto più severo, con la pena della reclusione da cinque a dieci anni, nonostante al comma 3 dell’art. 609-bis abbia previsto l’ipotesi dei “casi di minore gravità”, per i quali la stessa pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.

 

L’art. 609-septies del codice penale prevede che lo stupro e altra violenza sessuale siano perseguiti dopo che la vittima abbia presentato querela di parte.

Per presentare questa querela, la vittima ha sei mesi dalla data del reato.

Oltre la scadenza dei sei mesi, il reato non è perseguibile.

Se la vittima presenta querela nei tempi stabiliti (sei mesi dal reato).

Il reato può lo stesso andare in prescrizione, regolata da art. 157 del codice penale (15 anni).

 

L’articolo 609-bis del codice penale prevede la pena della reclusione da cinque a dieci anni per chiunque con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali.

Chi induce qualcuno a compiere o subire atti sessuali:

abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;

traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

L’ultimo comma della disposizione stabilisce una diminuzione della pena non eccedente i due terzi per i casi di minore gravità.

L’articolo 609-ter del codice penale, rubricato “circostanze aggravanti” stabilisce la pena della reclusione dai 6 ai 12 anni se la violenza è commessa:

nei confronti di una persona che non ha compiuto gli anni quattordici;

nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore;

con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa;

da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricati di servizi pubblici; 5. su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale;

5.-bis all’interno o nelle immediate vicinanze di istituto d’istruzione o di formazione frequentato dalla persona offesa.

 

L’art 609-quater del codice penale è rubricato “atti sessuali con minorenne”.

Si punisce chi compie atti sessuali al di fuori delle ipotesi precedenti (quindi senza costrizione o induzione) ai danni di:

chi non ha compiuto gli anni quattordici

chi non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia legato al minore da una relazione qualificata (genitore, tutore, convivente, ovvero altra persona cui per ragioni di cura, vigilanza, custodia, istruzione il minore è affidato).

Al comma 3 l’articolo punisce anche chi compie atti sessuali con minore di anni 18 e maggiore di anni 16, sempre che i due soggetti siano legati da una relazione qualificata e che il colpevole abusi dei poteri connessi alla sua posizione.

E’ importante sottolineare che il comma 4 dichiara non punibile chi compie atti sessuali con un minore che abbia compiuto almeno 13 anni, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore ai tre anni.

Un’altra fattispecie di violenza sessuale è quella di gruppo, disciplinata all’articolo 609-octies.

I coautori sono puniti con la reclusione da 6 a 12 anni.

Se la violenza sessuale è commessa su minori di anni dieci la pena è la reclusione da 7 a 14 anni.

 

Gli artt. 609-bis e seguenti del codice penale non puniscono esclusivamente lo stupro inteso come congiunzione carnale non consensuale, ma qualsiasi costrizione a compiere o subire atti sessuali.

La giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha interpretato questo concetto in modo via via più estensivo.

 

L’articolo 609 bis del codice penale individua al comma 1 la violenza sessuale per costrizione, prevedendo quali modalità esecutive la costrizione, la minaccia e l’abuso di autorità.

Al comma 2 la violenza sessuale per induzione, determinando le modalità esecutive nell’abuso di condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa e l’inganno con sostituzione di persona.

 

Il bene giuridico protetto

Il bene giuridico protetto dalla norma per costrizione è la libertà sessuale dell’individuo, vale a dire il diritto di ognuno di esplicare liberamente le sue inclinazioni personali, e nell’impedire che il corpo della persona possa essere utilizzato senza consenso da altri ai fini di soddisfacimento erotico.

Nella induzione il bene giuridico protetto, secondo una parte della dottrina, deve essere individuato nella libertà sessuale, secondo altri nella intangibilità sessuale.

Il bene giuridico non si ravvisa nella libertà sessuale se il reato viene compiuto nei confronti di un soggetto infraquattordicenne come nel caso del comma 1 dell’articolo 609 quater (atti sessuali con minorenne).

Il minore non può effettuare libere scelte di azione nella sfera sessuale, per questo in simili casi si tutela l’integrità fisio-psichica del minore in relazione alla sfera sessuale, nella prospettiva di un corretto sviluppo della sessualità dello stesso.

Il soggetto attivo

Il soggetto attivo del reato può essere chiunque, senza distinzioni di genere, orientamento sessuale o altre caratteristiche personali.

Il fatto di reato

Il fatto di reato è costituito dal compimento di atti sessuali.

La nozione di atti sessuali è dibattuta in dottrina e giurisprudenza.

Secondo una corrente per atti sessuali si deve intendere l’intera gamma degli atti di libidine.

Un’altra corrente, ne dà una nozione più restrittiva limitandola alle molestie sessuali.

La Consumazione

Il reato si consuma nel luogo e nel momento nel quale avviene l’atto sessuale.

 

Il compimento di atti sessuali tra loro intervallati da un apprezzabile periodo di tempo non integra un unico reato ma reati plurimi unificati dal vincolo della continuazione.

 

Altri casi

È prevista la pena della reclusione dai 6 ai 12 anni se la violenza è commessa:

nei confronti di una persona che non ha compiuto gli anni quattordici;

nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore;

con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa;

da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricati di servizi pubblici;

su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale;

 

5.-bis all’interno o nelle immediate vicinanze di istituto d’istruzione o di formazione frequentato dalla persona offesa.

Rientra nella fattispecie descritta anche l’indurre taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica di questo o traendolo in inganno, quindi nel caso che la vittima non sia in grado di resistere. Un’altra fattispecie di violenza sessuale è quella di gruppo: i coautori sono puniti con la reclusione da 6 a 12 anni. Se la violenza sessuale causasse una gravidanza alla donna oltraggiata la pena è la reclusione da 7 a 14 anni.

 

Reati associativi

Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, il bene protetto è costituito dall'ordine pubblico, che risulterebbe minacciato dalla sola esistenza dell'associazione per delinquere: gli associati, infatti, vengono "...per ciò solo..." puniti, cioè per il solo fatto di appartenere all'associazione, indipendentemente dall'avere o meno compiuto i delitti contemplati dal programma di delinquenza. Questo perché il semplice fatto di essere a conoscenza dell'esistenza di un'associazione per delinquere genera inevitabilmente "allarme sociale" ovverosia mette in pericolo la tranquillità e la pace pubblica. Come si può notare, ciò costituisce una vistosa eccezione al principio generale sancito dall'art. 115 c.p. secondo cui "Salvo che la legge disponga altrimenti..." non è punibile colui il quale si accorda allo scopo di commettere un reato, quando l'accordo non sia seguito dalla commissione del reato medesimo".

 

Soggetto attivo

Soggetto attivo del reato può essere chiunque. Occorre però che il reato sia commesso da almeno tre persone (reato plurisoggettivo o a concorso necessario) accordatesi tra loro. Secondo la dottrina prevalente e la giurisprudenza nel numero minimo non devono essere computati i soggetti incapaci di intendere o di volere, cioè gli infermi di mente e i minori di anni diciotto. Tuttavia, un'autorevole dottrina ha acutamente osservato che l'esclusione sarebbe in contrasto con il principio generale sancito dall'ultimo comma dell'art. 112 c.p. secondo cui anche i soggetti incapaci devono essere annoverati tra i "concorrenti" nel reato; inoltre, l'esclusione sarebbe manifestamente irragionevole perché la stessa dottrina e giurisprudenza quando si tratta di determinare il numero di persone (pari a 10 o più) che darebbe luogo all'applicazione dell'aggravante speciale prevista dal quinto comma dell'art. 416 c.p. vi computano anche i soggetti incapaci e non si capisce la ragione di tale arbitrio. Il problema attiene alla natura dell'imputabilità e al rapporto con il reato e con l'elemento soggettivo.

 

Struttura della norma incriminatrice

La norma incriminatrice ripropone la struttura fondamentale del fatto associativo ("Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti...") prevedendo l'applicazione della pena della reclusione da uno a cinque anni per i membri semplici dell'associazione e con quella della reclusione da tre a sette anni per coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l'associazione ovvero per i capi della stessa.

 

A puro titolo informativo, è promotore colui il quale prende l'iniziativa per la costituzione dell'associazione, palesando all'esterno l'intenzione di voler dar vita alla stessa; è costitutore colui che crea l'associazione mediante il reclutamento del personale e il reperimento dei mezzi; è organizzatore colui il quale fornisce una struttura operativa al sodalizio criminoso, agendo con autonomo potere decisionale. L'art. 416 co. 3 c.p. equipara ai promotori i capi cioè i soggetti che dirigono l'associazione o ne detengono il potere.

 

Consumazione

Il reato si consuma nel momento in cui nasce l'associazione perché è in questo stesso momento che sorge il pericolo per l'ordine pubblico: trattandosi di reato di pericolo, per la consumazione è indifferente la realizzazione dei reati programmati. L'associazione per delinquere è, come già anticipato, un tipico reato permanente per cui la consumazione si protrae finché l'associazione non si scioglie per il venir meno dei singoli associati o il compimento del programma di delinquenza. I compartecipi che commettono uno o più delitti oggetto del programma di delinquenza ne risponderanno personalmente del cosiddetto "reato di scopo" in combinato con il delitto di cui all'art. 416 c.p.

 

Elemento soggettivo

Ai fini della sussistenza del dolo è necessaria non solo la volontà di associarsi ma altresì la consapevolezza di associarsi con almeno altre due persone allo scopo ulteriore di commettere una pluralità indeterminata di delitti. Trattasi evidentemente di un dolo specifico. Il dolo è escluso dall'ignoranza del carattere delittuoso dei fatti rientranti nello scopo comune.

 

Le indagini difensive

L’avv. Benedetto dà un’importanza fondamentale alle indagini difensive, essendo il primo e fondante rimedio allo strapotere della magistratura requirente.

Le indagini difensive si configurano come l’insieme delle attività che il difensore dell’indagato, della parte offesa o delle altre parti private interessate dalla vicenda processuale, il sostituto, investigatori privati autorizzati e – qualora siano necessarie specifiche competenze – consulenti tecnici possono compiere, al fine di ricercare le fonti e/o acquisire elementi di prova favorevoli al proprio assistito.

 

Le investigazioni difensive rappresentano una importante risorsa per l’avvocato, il quale ha la facoltà di ricercare personalmente o a mezzo dei suoi ausiliari elementi utili ad impostare la difesa del proprio assistito. È evidente che la difesa in un processo penale risulta davvero efficace quando non si limita solo alla confutazione della tesi accusatoria, bensì quando si estende alla rappresentazione di elementi di prova a favore del soggetto indagato. Tali elementi possono essere raccolti attraverso diverse attività investigative, regolate in seguito all’introduzione del Titolo VI-bis nel libro V del codice di procedura penale grazie all’emanazione della legge 7 dicembre 2000, n. 397.

 

2. Evoluzione normativa

Durante la vigenza del precedente codice di rito del 1930 di matrice inquisitoria, dove l’attività di acquisizione probatoria veniva esperita dal pubblico ministero e dal giudice istruttore, il quale aveva facoltà di condurre indagini e di interrogare i testimoni, il ruolo del difensore si sostanziava principalmente in una contestazione delle prove raccolte dalla pubblica accusa nel corso delle attività d’indagine.

La promulgazione nel 1988 del nuovo codice di procedura penale (c.d. “codice Vassalli”), improntato ad un sistema “accusatorio” volto a garantire una sostanziale eguaglianza di poteri tra accusa e difesa, ha comportato un aumento dell’importanza del ruolo di ricerca della prova da parte del difensore e degli altri soggetti autorizzati nell’ambito dell’intero processo penale.

La legge 7 dicembre 2000, n. 397, in vigore dal 18-1-2001, ha determinato l’inserimento nel libro V del codice del Titolo VI-bis, abrogando l’art. 38 disp. att. c.p.p. che confinava l’ambito investigativo difensivo in interventi funzionali unicamente alle richieste di prova in fase dibattimentale, senza regolare in concreto le tipologie di atti consentiti, le modalità esecutive e il valore probatorio. Al contrario, la nuova normativa introduce una disciplina organica, i cui assetti strutturali si concretizzano nella tipizzazione delle attività investigative difensive e nella definizione delle modalità di documentazione dei risultati e del loro valore probatorio.

3. Colloqui, accertamenti ed acquisizione di informazioni

Seppur dotato di minore autonomia rispetto all’organo d’accusa nel compimento di attività che incidono sui diritti altrui e necessitano per questo dell’intervento dell’autorità giudiziaria, il difensore e i suoi ausiliari risultano maggiormente liberi in relazione alle modalità di svolgimento degli atti, alla documentazione e all’utilizzabilità degli elementi raccolti. In particolare, i soggetti legittimati hanno la facoltà di:

acquisire notizie dalle persone informate sui fatti, mediante colloqui non documentati, richiesta e ricezione di una dichiarazione scritta documentata e assunzione di informazioni (art. 391-bis c.p.p.);

richiedere documenti alla Pubblica Amministrazione (art. 391-quater c.p.p.);

effettuare l’accesso ai luoghi per visionarne lo stato e/o svolgere rilievi tecnici, grafici, planimetrici o audiovisivi (art. 391-sexies e septies c.p.p.);

compiere accertamenti tecnici non ripetibili (art. 391-decies c.p.p.);

partecipare agli atti d’indagine compiuti dall’organo d’accusa, in particolare agli accertamenti tecnici non ripetibili (art. 360 c.p.p.), alla raccolta di sommarie informazioni (art. 350 c.p.p.), all’interrogatorio dell’indagato (art. 363, 364, 374 e 388 c.p.p.), a perquisizioni e sequestri (art. 365 c.p.p.).

4. Attività investigativa preventiva

Il comma 2 dell’art. 327-bis c.p.p., nel prevedere la facoltà di svolgere indagini difensive “in ogni stato e grado del procedimento” consente lo svolgimento della c.d. attività investigativa preventiva, qualora l’instaurazione del processo penale sia solo eventuale.

Si tratta di indagini che esulano dal processo, in quanto precedenti ad esso e finalizzate ad evitarne la successiva instaurazione. Sebbene tale ambito risulti principalmente di  competenza dei professionisti operanti nel campo delle investigazioni private e disciplinati nel Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, a norma dell’articolo 391-nonies c.p.p. – rubricato “attività investigativa preventiva” – anche l’avvocato, che sia stato nominato mediante un mandato con sottoscrizione autenticata e recante l’indicazione dei fatti sui quali si chiede di procedere, può effettuare attività d’indagine preventiva. In tal caso, l’avvocato o l’investigatore che lo coadiuva potranno esperire tutti gli atti propri delle indagini difensive previsti dall’art. 327-bis c.p.p., ad eccezione di quelli che richiedono l’intervento o l’autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria, come il sopralluogo in un luogo privato al quale chi ne ha la disponibilità non concede l’accesso o l’accertamento tecnico irripetibile.

5. Fascicolo del difensore

Gli atti costituenti l’attività investigativa del difensore confluiscono in quello che l’art. 391-octies c.p.p. definisce “fascicolo del difensore”, il cui contenuto può essere presentato al p.m. e al giudice delle indagini preliminari e/o dell’udienza preliminare, prima che adotti una decisione per cui è previsto l’intervento della parte privata o affinché ne tenga conto nel caso in cui si verifichi tale eventualità (es. quando il difensore paventi il rischio per il suo assistito dell’emissione di una misura cautelare).

Nel definire il contenuto del fascicolo del difensore, l’art. 391-octies parla esplicitamente di presentare gli elementi di prova a favore del proprio assistito, dal momento che non vi è alcun obbligo di inserire eventuali documenti e/o informazioni sfavorevoli all’indagato raccolti durante lo svolgimento dell’attività investigativa.

6. Utilizzabilità degli atti investigativi

Gli atti difensivi inseriti nel fascicolo del difensore potranno essere utilizzati, secondo quanto previsto dall’art. 391-decies, al fine di contestare in tutto o in parte il contenuto della deposizione dei testimoni a dibattimento: le dichiarazioni assunte dai difensori nel corso delle indagini difensive potranno dunque essere utilizzate per valutare la credibilità del teste.

In particolare, l’art. 391-decies prevede che le dichiarazioni inserite nel fascicolo del difensore possano essere impiegate dalle parti per le contestazioni e per le letture, in tutti in casi in cui ciò è consentito in relazione agli atti delle indagini preliminari svolte dall’accusa, secondo quanto stabilito dagli artt. 500, 512 e 513 del codice di procedura penale.

 

La norma comprende anche la lettura di atti formati durante le indagini difensive nell’ipotesi di sopravvenuta impossibilità di ripetizione dell’attività difensiva, come è evidente dal richiamo contenuto nell’art. 391-decies, oltre che dall’implementazione tra i soggetti indicati nell’art. 512 anche dei difensori delle parti private.

 

I Costi per le prestazioni dello Studio

Questo Studio dà molta attenzione alla reciproca soddisfazione in merito alla cosiddetta parcella professionale.

Sempre e comunque, anche quando ci si avvale del patrocinio a spese dello Stato, viene redatto e proposto un contratto professionale.

 

Lo Studio, per il tramite dell’avv. Benedetto, penalista italiano ed ucraino, garantisce, per chiunque ha necessità, una forte esperienza nell’ambito penalistico. Altresì, lo Studio ha elaborato ricorsi ad hoc per far sì che le sentenze emesse dalle Autorità estere, siano annullate o dichiarate nulle dalle rispettive corti di appello italiane, al fine di evitare che il provvedimento sia menzionato sul casellario ed esecuzione ex artt. 730 e ss Codice di procedura penale.

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